Floc era un cane di due anni che viveva in una bellissima famiglia alla periferia di un piccolo paese di campagna. I suoi ricordi non rammentavano che quella casa, i due adulti e il ragazzo che era il suo inseparabile compagno di giochi. C’era gioia nel suo cuore e pensava che tutti i suoi simili vivessero così.
Poi un giorno, mentre giocava da solo in giardino, un umano dai modi gentili lo attrasse verso la cancellata e, un po’ a forza, un po’ con voce suadente, lo spinse al di fuori, per una brevissima libertà. Lo fece salire su una vecchia utilitaria e lo portò a spasso per un po’. Furono giorni strani, nei quali cambiò spesso di posto finché non arrivò in una casa in aperta campagna, dove fu accolto da un uomo dalla pelle bruciata dal sole dei campi che lo prese in consegna dall’altro umano dicendogli: “Mia figlia vuole un cane, ma questo è un po’ grande, non so se va bene. Non posso darti più di 40 euro…”. I due si accordarono con una stretta di mano e Floc si trovò senza famiglia, ma con quattro padroni, due adulti e due ragazzi.
Ora che finalmente non era più sballottato di qua e di là cercò di orientarsi: sentì il profumo del fiume, ma gli altri odori della campagna erano diversi e, nonostante fosse stagione, non sentiva l’odore del riso. Si chiese il perché di quel cambiamento, sembrandogli impossibile che la sua famiglia fosse lontana e lo lasciasse a una nuova vita.
Dovette imparare la prigionia di un serraglio, da cui era liberato solo quando i figli dei suoi padroni lo facevano giocare insieme a loro nei pomeriggi di sole; finché si stancarono del loro giocattolo e i pomeriggi divennero solo dei frammenti di giorni di festa, e non tutti… Imparò a respirare la polvere del cortile senz’erba, il suo nuovo giardino, senza profumi e senza colori. Imparò a convivere con pulci e zecche, periodicamente liberato da qualche bagno stagionale che non poteva certo rendere lucente il suo bellissimo pelo come le mille premure e le attenzioni della sua vecchia famiglia. Imparò a sognare di entrare in quella casa di umani per salire sul divano e accoccolarsi vicino a quello di loro che gli allungava una dolce carezza. Si ricordava spesso che nessuno lo accarezzava più con lo stesso trasporto del suo ragazzo e gli mancava proprio quella mano che, di notte, scendeva dal letto e lo trovava che dormiva in serenità nella loro cameretta. Anche il cibo era pessimo, i peggiori avanzi degli umani, che, a guardare come spesso la ciotola era semivuota, dovevano avere sempre molta fame, tranne per il pane raffermo che elargivano con molta generosità. In fondo i suoi nuovi padroni non erano cattivi, era lui che non era che un cane. Ma lui era buono e sopportò tutto perché sapeva che quelle prove sarebbero finite.
Dopo che Floc fu scomparso, il ragazzo non si dava pace e la tristezza era la sua nuova compagna di giochi. Tutti tentavano di consolarlo in mille modi diversi e in quel periodo lui imparò a leggere fra le parole la vera umanità di chi gli parlava. Scoprì una grande sensibilità d’animo in estranei mentre gli fece male trovare aridità nel cuore di chi gli era più vicino. In particolare non dimenticò mai la vecchia zia Carlotta che continuava a ripetergli che “un cane è un cane, non è un cristiano; non dobbiamo soffrire troppo per lui perché altrimenti non impareremo ad amare i nostri simili”. Gli spiegò che Dio non aveva tempo di occuparsi di un cane perché nel mondo ci sono tanti uomini che soffrono. E poi “i cani non hanno un’anima”. Da allora non sopportò più il profumo della vecchia zia, il suo tono di voce, la sua immagine incerta; probabilmente per la prima volta conobbe l’odio e fu contento quando, l’anno dopo, gli dissero che era morta.

Chi non ha avuto un cane non sa cosa significhi essere amato (Arthur Schopenhauer)
Erano passati tre anni, ma il ragazzo non aveva mai smesso di cercare Floc. Capendo che chi lo aveva preso era un “professionista”, aveva iniziato subito a coordinarsi con le Forze dell’Ordine per avere notizie su azioni simili. Finalmente qualche giorno prima era stato arrestato un balordo che aveva tentato un’estorsione ai danni di una coppia cui aveva rapito il cane. Il balordo aveva raccontato alla polizia che aveva iniziato a rapire i cani per venderli, ma poi quelli non di razza erano facilmente reperibili nei canili e quelli di razza avevano tutti il microchip e gli acquirenti disposti a essere complici di un furto erano pochissimi; meglio dunque rapire i cani e chiedere il riscatto ai proprietari. La cosa aveva funzionato finché un proprietario si era rivolto alla polizia che non aveva avuto difficoltà ad arrestare il balordo all’atto della consegna del denaro per il riscatto.
Il ragazzo ottenne di poter avere un breve colloquio con il balordo; gli chiese se si ricordasse di Floc, descrivendogli il cane, la casa da cui lo aveva preso e ricordandogli quando il fatto era accaduto. La memoria del balordo divenne improvvisamente lucida e presente quando si vide scivolare sul tavolo una banconota da 100 euro: Floc era stato “piazzato” in un comune a circa 40 km.
Il ragazzo valutò la situazione e decise di agire di persona; troppo rischioso seguire i canali ufficiali che avrebbero potuto portare a lungaggini e insabbiamenti a tutto danno di Floc. In fondo, nonostante la sua giovane età, era un abile commerciale ed era sicuro di ottenere velocemente quanto desiderava. Nonostante questa determinazione, quando il ragazzo arrivò nell’agglomerato di case che gli era stato indicato, provò una certa inquietudine: un tempo la piccolissima frazione doveva essere stato un tentativo di un villaggio residenziale in aperta campagna, ma ora non era che un’accozzaglia di case ormai decrepite, alcune disabitate. Entrò nel cortile della casa dove doveva trovarsi Floc, si avvicinò al campanello e suonò.
Fu accolto da una donna non anziana, ma invecchiata da una vita che avrebbe voluto diversa; il ragazzo le sorrise e con calma, chiaramente, le espresse il motivo della visita: “Ho saputo che avete uno springer; io ne sto cercando uno per mia sorella a cui è appena morto il suo. Non ho tanti soldi da spendere, ma qualcosa le posso offrire”.
Il viso della donna s’illuminò appena sentì parlare di soldi: “Venga glielo faccio vedere. Noi l’avevamo comprato per mia figlia qualche anno fa, lo desiderava tanto, ma poi è cresciuta e ora ha altri interessi; dovercene occupare per noi è ormai un peso, già il dover pulire ogni giorno il recinto…”. Attraversarono il cortile e arrivarono al serraglio con una cuccia sul fondo, una specie di lager con una ciotola d’acqua a fianco della cuccia. “Si chiama Artù. Artù! Esci e fatti vedere dal signore!”.
Artù uscì stancamente, ma la sua coda impazzì e incominciò a battere sulle reni non appena vide il ragazzo. La signora ne fu colpita: “Non fa mai così, si vede che le è simpatico!”.
“Magari sente l’odore del mio cane. Senta signora, posso darle 100 euro; penso che sia un bel regalo per mia sorella.”.
La signora rilanciò: “Non può arrivare a 150? Per questo cane abbiamo avuto tante spese…”.
Il ragazzo aprì il portafoglio, estrasse le banconote e le contò: “Arrivo a 140 euro, aspetti che guardo in macchina se ho ancora qualcosa”.
Come previsto il trucco del portafoglio vuoto funzionò e l’avidità della donna ebbe il sopravvento: “No, va bene così, non si disturbi.”; strinse la mano al ragazzo chiedendogli di entrare con la macchina in cortile.
Quando la macchina si fermò davanti al recinto, la donna aprì la porta, prese il cane per il vecchio collare e lo consegnò al ragazzo. Questi aprì la portiera del sedile posteriore e spinse il cane sul sedile. Un po’ stupita la donna s’impicciò e chiese: “Ma perché non lo mette nel baule”. Il ragazzo smise di essere gentile, le rispose secco: “Ma lei metterebbe sua figlia nel baule?”. Salì in macchina e si allontanò velocemente da quella prigione.
Floc era in piedi sul sedile posteriore e non aspettava che un cenno; quando la macchina si fermò ai margini del paese, il cenno ci fu: Floc saltò davanti e incominciò a leccare il viso del ragazzo, poi si strusciò sul collo del giovane come un tempo soleva fare ogni mattina quando si svegliava.
La giornata continuò intensa. Andarono dal veterinario per controllare che tutto fosse in ordine, poi nella vecchia casa. Floc corse lungo il perimetro del giardino e vide che non era cambiata molto; lo aspettava un bel bagno per togliergli tutte le pulci di quell’orribile prigione; poi una piccola cena con le sue crocchette preferite, che il ragazzo non aveva mai smesso di comprare, una specie di rito per non arrendersi.
Quando andarono a dormire, Floc si stese sul letto accanto alle gambe del ragazzo che lo lasciò fare come ai vecchi tempi. Finalmente quella notte il ragazzo e il suo cane dormirono tranquilli, lontani dalla cattiveria e dalla stupidità degli esseri umani.